Si capiva ormai e si sperava che gli americani
sarebbero avanzati, erano sempre fermi alla pianura padana, però si sperava che venissero
avanti.
Un giorno, ma questo era già forse in febbraio o marzo, sono scesa, ho osato scendere,
non mi ricordo per quale motivo, ad Ardesio e nel tornare su ho incontrato uno dei contadini
che abitava a Ave, si chiamava Mosè, ed era coi partigiani, cioè li aiutava, non era più tanto
giovane e aiutava i partigiani.
Lui era insieme a un giovane, avrà avuto ventotto, trent’anni e zoppicava forte e [Mosè] mi ha
detto: «Guardi. Io ho trovato questo, che dice che vuol andare dai partigiani, ma non so se posso
fidarmi di lui. Provi lei a parlare, lui parla tedesco».
Allora io, parlando tedesco, gli ho detto: «Ma lei cosa vuole?».
E lui era felice, dice: «Ma lei è tedesca?».
«No,- dico - io sono italiana, sono sposata con un italiano,
ma ho vissuto in Austria. Sono sfollata qui e quindi io parlo
un po’ il tedesco. Ma,- dico - lei cosa vuole?».
Mi ha raccontato che lui veniva dall’Alsazia e faceva il
militare. Era stato ferito non so
dove e ora doveva ancora fare il servizio militare ed era
stanco.
Nella immagine: una carta d’identità
falsa di Leiser Schwamenthal,
intestata a certo Leone Perani,
utilizzata nell’ultimo periodo della
guerra
E mi diceva: «Io voglio andare dai partigiani, mi hanno detto che qui ci sono dei partigiani».
E io ho detto: «Io non so niente dei partigiani. Io non so niente, ma come ha fatto ad arrivare
fino a qua?».
E mi ha raccontato che era scappato insieme a un altro, ma non mi ricordo più da dove, forse da
Verona.
Qualcuno gli aveva dato degli abiti borghesi e lo aveva indirizzato qua. E lui e quel suo
compagno di viaggio avevano indossato questi abiti e avevano messo nella valigia le divise
militari, ma a Bergamo, in stazione, erano stati fermati da non so chi e lui era riuscito a
scappare. Non sapeva cosa era successo al suo compagno, ma lui era riuscito a scappare, era
andato a Clusone ed era riuscito ad arrivare fino ad Ardesio.
E il Mosè mi dice: «Ma crede che posso fidarmi di lui?».
Dico: «Io non lo so. Lui mi ha raccontato così e così».
Allora il Mosè dice: «Guardi. Io lo porto in un posto. Gli dica di non avere paura che lo
aiuteremo».
E io gliel’ho detto e mentre si saliva verso Piazzolo c’era una fontanella e lui si è fermato per
bere un po’ d’acqua e là c’era una cascina ed è uscita una contadina che mi ha chiesto se lui
aveva fame o sete e gli ho chiesto e lui, con un po’ di vergogna, ha detto: «Sì, ho fame».
Allora l’abbiamo accompagnato dentro e quella signora gli ha offerto del latte, polenta e del
formaggio e lui si è buttato sopra il mangiare e poi mi ha detto: «Ma lei, quella signora, lo sa?».
Dico: «Che cosa?».
«Lo sa chi sono io?».
«Sì,- dicevo - sì, lo sa».
«E mi dà da mangiare?».
«Sì,- dico - le dà da mangiare perché gli italiani sono buoni».
Dopo infatti la faccenda è andata a finire così che lo hanno portato su da Ave e c’è stato
qualcuno che l’ha poi accompagnato in Svizzera e là è stato internato. Così siamo rimasti a
Piazzolo fino a due tre giorni prima della liberazione e in quel periodo sembrava più pericoloso
stare a Piazzolo che in paese. Infatti dopo due o tre giorni che eravamo scesi in paese oramai la
guerra era finita.
Come lo avete saputo?
Ma, tutti sapevamo, d’un tratto la gente si metteva a gridare: «La guerra è finita».
Si vedeva... oramai la radio clandestina non veniva più sentita clandestinamente. C’erano degli
ufficiali, non so se inglesi o americani, che saltavano fuori non so da dove e si sapeva che era
finita. Volevo dire un’altra cosa. Uno degli ultimi giorni della guerra c’era un gruppo di russi
che sono arrivati ad Ardesio. Avevano dei cavalli e chiedevano se qualcuno li portava ad attraversare
le montagne per arrivare in Svizzera e qualcuno si consigliava con papà. Papà ha
parlato, è riuscito a farsi capire da quei russi e traduceva quello che dicevano gli uni e gli altri.
E gli italiani dicevano: «Sì, li accompagnamo noi, gli faremo attraversare la frontiera».
E papà diceva: «State attenti, state attenti, perché loro hanno detto questo e questo. Non fidatevi
troppo».
Infatti loro li hanno accompagnati vicino alla frontiera e prima della frontiera questi russi hanno
ammazzato quelli che li avevano portati là e poi sono scappati in Svizzera.
Hanno ammazzato i partigiani?
Sì, hanno ammazzato i partigiani, non so più quanti erano...
Il papà, quando siete scappati, ma anche tu e la nonna, quando siete venuti via dall’Austria,
non avevate mai pensato di andare in Israele?
Israele era, cioè la Palestina: non era ancora Israele, la Palestina era sotto gli inglesi i quali non
lasciavano entrare nessuno. C’è tutto un altro capitolo, quando hai tempo, che ti racconto, dei
viaggi clandestini. Tanta gente andava clandestinamente, voleva andare clandestinamente in
Israele. C’erano delle navi che partivano dalla Yugoslavia, dalla Grecia o dall’Albania, facevano
pagare un sacco di soldi alla gente e usavano delle navi che erano bene assicurate, però
che erano oramai in sfacelo.
E, o sbarcavano della gente vicino alla costa, o li buttavano nell’acqua e dicevano: «Adesso
nuotate fino a Israele».
A Ferramonti con noi c’era un gruppo di persone che erano state imbarcate non so dove, forse
in Yugoslavia, poi sono state prese dagli italiani e portati a Bengasi, prima sono stati internati a
Bengasi, poi sono stati mandati a Ferramonti e dopo erano rimasti là.
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