C’era un sentiero che da Botto Basso portava a un’altra frazione che si chiamava Piazzolo. Per
andare a Piazzolo c’era anche un’altra strada [più comoda] che passava da Ardesio, ma noi abbiamo
preso questo sentiero, tra i sassi che franavano. Era una strada molto brutta, ma siamo
riusciti ad arrivare a Piazzolo, qualcuno ci aveva accompagnato e abbiamo cercato chi ci poteva
alloggiare. Al momento anche gli abitanti di Piazzolo, era gente molto brava con cui dopo
abbiamo fatto grande amicizia, ma al momento erano sorpresi e non sapevano cosa fare.
C’era una ragazzina di tredici o quattordici anni che d’un tratto disse: «Ma a casa mia c’è posto,
volete venire? Venite qua a casa mia».
Allora qualcuno ha detto: «Ma... tua madre dov’è? Tua madre sarà d’accordo?».
«No, mia madre non c’è, è via a Clusone».
«Ma allora,- dicevano quelle persone - tu come fai a prendere in casa della gente senza il
permesso di tua madre?».
E questa ragazzina disse: «Se mia madre viene a casa e sente
che qualcuno ha bisogno di aiuto ed io l’ho rifiutato, se la prenderebbe a male. Magari mi
darebbe delle botte...».
Documento rilasciato nel dopoguerra che attesta l'internamento a Gromo
Questa ragazzina si chiamava Eliana e la madre, che è morta recentemente, si chiamava
Clorinda Fornoni. Era gente che lavorava in Francia e da poco tempo erano tornati ad Ardesio.
In effetti quando è tornata, la madre ci ha dato il benvenuto e per qualche giorno ci siamo
fermati in casa loro e dopo siamo andati in un’altra casa sempre a Piazzolo. Siamo rimasti a
Piazzolo circa due mesi, forse fino a giugno.
Una sera è venuto a trovarci un giovane, il figlio del calzolaio Giudici, e ci ha detto che era
stato mandato dal padre per dirci che c’era in paese un grande fascistone della milizia che
era attivamente presso il partito e questa persona era andata da Giudici, dal calzolaio, e gli
aveva detto: «Guarda che noi sappiamo dove sono gli ebrei e domani mattina presto andiamo a
prenderli, ma io, malgrado il mio punto di vista [politico], malgrado il mio credo fascista,
eccetera, mi ripugna di andare a caccia di donne e di bambini. Quindi tu vai, avverti gli ebrei di
quello che deve succedere».
Al che il Giudici gli ha detto: «Ma tu sei matto, ma di che ebrei parli? Ma io non conosco
nessuno, non so niente».
E quello diceva: «Va bene. Tu fai bene a rispondere così. Io so che tu sei in contatto con questi
ebrei e ti ripeto questo».
E il Giudici continuava: «Ma tu sei matto. Io non conosco niente, non so niente, va bene?».
Appena via questo, ci ha mandato su il figlio che ci ha avvertito di scappare. Non sapevamo
proprio più dove andare perché salendo verso il monte non c’era più niente. C’erano, in cima al
monte, due stalle dove i contadini d’estate portavano il bestiame. Poi ancora più in alto, già
scendendo verso Valzurio, quel paese che è stato bruciato [dai nazifascisti], c’era una frazione
ancora che apparteneva al comune di Ardesio. Tre o quattro case, si chiamava Ave e prima di
arrivare là c’erano, nascoste tra i monti e tra i prati, quelle due stalle e ci hanno portato su in
una di quelle stalle. Io quella volta che ero scappata col pancione da Gromo camminavo franco,
correvo, avevo la forza e anche l’altra volta quando ero scappata da Botto Basso a Piazzolo
camminavo bene, ma questa volta da Piazzolo alla Masù, si chiamava la Masone, dovevano
spingermi perché non riuscivo a mettere un piede davanti all’altro. C’era una signora che
portava Liliana, un’altra che dava il braccio alla mamma, un’altra che portava la culla, poi
camminavate tu e papà. In quella stalla abbiamo dormito sul fieno, in parte alle mucche.
L’acqua, naturalmente non c’era gabinetto, era di una cisterna e veniva bollita e filtrata, ma era
schifosa lo stesso.
Una volta mi sono svegliata e ho detto alla mia mamma: «Non so se devo ridere o piangere»
perché vicino a dove appoggiavo la testa c’era un mucchio di funghi. Comunque noi eravamo
là...
Quanto siete stati in questo posto?
Siamo stati là da maggio fino a ottobre. Fino a che il tempo non è diventato brutto, ma in luglio,
credo, c’è stato un rastrellamento. I tedeschi hanno fatto un rastrellamento. Eravamo stati
avvertiti che i tedeschi venivano su da Clusone, da Ardesio, avevano incendiato Valzurio e
insomma venivano dalle parti dove eravamo noi e allora avevamo paura che se passavano
vicino a questa stalla ci avrebbero visto. Oltre a noi c’erano due signore che avevano il
bestiame e allora una di queste ci ha fatto vedere... ha portato me e papà proprio in mezzo agli
sterpi, tra i sassi c’era una grande buca e ci ha fatto nascondere in essa. Poi ci ha coperto con
delle frasche e dell’altro e ci ha detto di stare là tutto il giorno. Tu non ti distinguevi dagli altri
bambini che c’erano in giro. Avevi i pantaloncini con su le pezze, parlavi bene bergamasco, eri
pelato con i capelli come gli altri ragazzi. Liliana era piccolina e l’hanno messa in una culla e
alla nonna una signora ha fatto indossare un suo vecchio grembiule ed ha messo un fazzoletto
in testa e le ha detto che se fossero passati i tedeschi, non avrebbe dovuto aprire bocca, perché
la mamma parlava molto male l’italiano. E così siamo stati lì tutto il giorno. Finalmente alla
sera ci avvertirono che i tedeschi erano andati via.7
Avevano ucciso diverse persone ad Ardesio. È stata una cosa molto triste, molto brutta. Non
erano riusciti a prendere dei partigiani, avevano ucciso dei civili, dei borghesi prendendoli per
partigiani. Hanno ucciso, per esempio, un ragazzo che era tornato, era in montagna con le capre
ed era tornato [in paese], vedendo tutta questa gente si era messo un po’ a scappare. Un ragazzo
di tredici, quattordici anni, gli hanno sparato e l’hanno ucciso. C’era un altro che veniva dalla
montagna, anche lui non aveva niente a che fare né coi soldati né coi partigiani, era cugino del
Vittorino Zucchelli. Era uscito di casa, non so bene come, passava di là, l’hanno buttato in un
canale nei pressi e quando ha tentato di uscire, metteva le mani sul bordo del canale, gli
schiacciavano le mani con gli scarponi finché si è lasciato cadere nell’acqua e poi gli hanno
sparato e l’hanno ucciso.
Comunque siamo rimasti là fino a che cominciava il tempo brutto, fino a ottobre circa. In quel
periodo c’erano già parecchi partigiani su a Ave e anche in giro, anche sopra Gromo. Avevamo
anche paura di essere magari presi per partigiani, avevamo paura di altri rastrellamenti,
d’altronde non potevamo... ci sentivamo relativamente più sicuri nelle case di Piazzolo che
sopra in quelle stalle.
Veniva catturato allora un nostro caro amico, era un ragazzo di Pavia, il suo nome di guerra era
Peter, e un giorno doveva andare.
È venuto a salutarci perché doveva portare dei messaggi a un altro gruppo di partigiani e papà
l’ha salutato e gli ha detto: «Stai attento, stai attento».
E lui ridendo: «Sì, sì, sì. Non abbia paura».
L’abbiamo rivisto un quindici giorni dopo in una bara: una sua foto, lui e un altro. L’avevano
gonfiato con l’acqua, l’avevano ucciso ed era là in una bara. Qualcuno gli aveva dato un rosario
e aveva avuto il coraggio di fare quella foto e per noi è stato un colpo molto, molto brutto
perché era un ragazzo di ventuno, ventidue anni, pieno di ideali, buono e ha fatto questa fine
così terribile.8
Lui, dove era partigiano?
Ad Ave.
Ma ad Ave quale gruppo c’era?
C’era un gruppo di partigiani, c’era un certo Lanfranchi, non so se era il suo nome vero o il
nome di guerra, era di Bergamo ed era il capo di quel gruppo, era della vallata, aveva un altro
soprannome allora.
7 In realtà i tedeschi e i fascisti non arrivarono fino a lì. Passarono da Ave, ma dalla Masone
si poteva vederli passare sul sentiero che stava un po’ più in basso.
8 Precisa Bepi Lanfranchi nella lettera del 17 giugno 1987: «Il Peter ricordato è morto a
Cornalba il 24 novembre 1944 e si chiamava Sguazzi Callisto».
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