Dopo l'8 settembre e l’invasione della penisola da parte dell’esercito tedesco, con il diffondersi
delle notizie dei
primi episodi di violenza tedesca contro gli ebrei,
come la strage di Meina1,
e con la diffusione via radio della notizia che il governo della R.S.I. aveva deciso di rinchiudere gli ebrei
in campi di concentramento, molti degli ebrei presenti nel Nord Italia decidono di fuggire verso la Svizzera.
Ma se nelle prime settimane dell’occupazione i fuggiaschi possono contare su una blanda sorveglianza alle
frontiere e uno scarso pattugliamento degli itinerari, ben presto, grazie anche al concorso delle forze della R.S.I.,
espatriare diventa una operazione che richiede capacità cospirativa, complicità e l’organizzazione di precisi itinerari
presidiati nei punti strategici per evitare di incappare in posti di blocco e controlli.
Per questo a Bergamo si strutturano sempre meglio due organizzazioni che si occupano dell’espatrio di ebrei,
ex prigionieri e ricercati per motivi politici, verso la Svizzera: una rete è composta da alcuni esponenti del clero
e delle organizzazioni cattoliche, mentre l'altra organizzazione è formata da elementi della
lotta di resistenza partigiana.
Raramente le testimonianze e i racconti dei protagonisti di questa rete di aiuto alla fuga sono in grado
di parlarci dei fuggiaschi, spesso conosciuti solo per poche ore.
Di alcuni di loro conosciamo l’identità attraverso le tracce lasciate nelle carte della Prefettura, oppure da
memorie edite come la testimonianza di Regina Zimet-Levy , allora dodicenne, che ci racconta le tappe della sua fuga da
Serina verso la Svizzera assieme alla famiglia o la testimonianza di Guido Sacerdote, allora undicenne.
Alcune testimonianze ci informano anche della presenza di profittatori, pronti a derubare o a vendere gli ebrei fuggiaschi ai nazisti.
L’alternativa alla fuga in Svizzera era il passaggio in clandestinità, passaggio più facile per gli ebrei italiani
le cui perdite in percentuale saranno la metà di quelle degli ebrei stranieri: questi ultimi potevano contare meno
sulla rete di conoscenze e approfittare con minor successo delle informazioni e
della solidarietà che molti concittadini
seppero esprimere.
Determinante per salvezza dei sopravvissuti è stata infatti la sinergia tra la spontanea disponibilità dei singoli
dettata da convinzioni religiose, umanistiche o politiche e le organizzazioni della resistenza.
a sinistra Regina Zimet-Levy prima di fuggire da Lipsia,
a destra S.Giovanni Bianco, la freccia indica il luogo dove abitava La famiglia Zimet-Levy (fonte: "Al di là del ponte" ed. Garzanti, 2003)
1 Nel settembre 1943, all'indomani dell'armistizio, le SS catturarono fra gli
sfollati e i residenti delle cittadine affacciate sul lago Maggiore cinquantaquattro ebrei,
fra cui donne, anziani e bambini, li massacrarono e gettarono nel lago i corpi legati con il filo di ferro.
Sul tremendo episodio si può leggere il libro "Hotel Meina" Ed. Il Saggiatore, scritto da Marco Nozza (Caprino Bergamasco 1926-Milano 1999).
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