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Da S. Agata ad Auschwitz di Silvio Cavati [indietro][avanti]
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  • La salvezza

    Dopo l'8 settembre e l’invasione della penisola da parte dell’esercito tedesco, con il diffondersi delle notizie dei primi episodi di violenza tedesca contro gli ebrei, come la strage di Meina1, e con la diffusione via radio della notizia che il governo della R.S.I. aveva deciso di rinchiudere gli ebrei in campi di concentramento, molti degli ebrei presenti nel Nord Italia decidono di fuggire verso la Svizzera.
    Ma se nelle prime settimane dell’occupazione i fuggiaschi possono contare su una blanda sorveglianza alle frontiere e uno scarso pattugliamento degli itinerari, ben presto, grazie anche al concorso delle forze della R.S.I., espatriare diventa una operazione che richiede capacità cospirativa, complicità e l’organizzazione di precisi itinerari presidiati nei punti strategici per evitare di incappare in posti di blocco e controlli.
    Per questo a Bergamo si strutturano sempre meglio due organizzazioni che si occupano dell’espatrio di ebrei, ex prigionieri e ricercati per motivi politici, verso la Svizzera: una rete è composta da alcuni esponenti del clero e delle organizzazioni cattoliche, mentre l'altra organizzazione è formata da elementi della lotta di resistenza partigiana.
    Raramente le testimonianze e i racconti dei protagonisti di questa rete di aiuto alla fuga sono in grado di parlarci dei fuggiaschi, spesso conosciuti solo per poche ore.
    Di alcuni di loro conosciamo l’identità attraverso le tracce lasciate nelle carte della Prefettura, oppure da memorie edite come la testimonianza di Regina Zimet-Levy , allora dodicenne, che ci racconta le tappe della sua fuga da Serina verso la Svizzera assieme alla famiglia o la testimonianza di Guido Sacerdote, allora undicenne. Alcune testimonianze ci informano anche della presenza di profittatori, pronti a derubare o a vendere gli ebrei fuggiaschi ai nazisti.

    L’alternativa alla fuga in Svizzera era il passaggio in clandestinità, passaggio più facile per gli ebrei italiani le cui perdite in percentuale saranno la metà di quelle degli ebrei stranieri: questi ultimi potevano contare meno sulla rete di conoscenze e approfittare con minor successo delle informazioni e della solidarietà che molti concittadini seppero esprimere.
    Determinante per salvezza dei sopravvissuti è stata infatti la sinergia tra la spontanea disponibilità dei singoli dettata da convinzioni religiose, umanistiche o politiche e le organizzazioni della resistenza.


    a sinistra Regina Zimet-Levy prima di fuggire da Lipsia, a destra S.Giovanni Bianco, la freccia indica il luogo dove abitava La famiglia Zimet-Levy
    (fonte: "Al di là del ponte" ed. Garzanti, 2003)

    1 Nel settembre 1943, all'indomani dell'armistizio, le SS catturarono fra gli sfollati e i residenti delle cittadine affacciate sul lago Maggiore cinquantaquattro ebrei, fra cui donne, anziani e bambini, li massacrarono e gettarono nel lago i corpi legati con il filo di ferro.
    Sul tremendo episodio si può leggere il libro "Hotel Meina" Ed. Il Saggiatore, scritto da Marco Nozza (Caprino Bergamasco 1926-Milano 1999).


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    A cura della Associazione Italia Israele di Bergamo [indietro][avanti]


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