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Alice racconta: una famiglia ebrea in fuga dai nazifascisti da Vienna a Bergamo [indietro][avanti]
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  • La clandestinità

    [Quei contadini] noi lì conoscevamo : una famiglia che aveva tra l’altro una figlia, l’Amelia, che era molto cara. Abbiamo raccontato a quella signora quanto era successo e lei ci ha portati su nelle stanze. Eravamo bagnati: ha acceso un fuoco, portava su degli scaldini per farci scaldare e asciugare un po’ e diceva: «Fate pure, non abbiate paura».
    Eravamo là forse da dieci minuti, non di più e abbiamo sentito abbaiare molto i cani, segno che qualcuno stava arrivando. Infatti è arrivata l’Amelia, la figlia, che era tornata dal paese e raccontò a sua madre che la casa dove eravamo noi [prima] era circondata dai carabinieri.
    Che il maresciallo gridava e sbraitava e diceva: «L’ebrea è scappata. Però non può essere andata lontano, la troveremo.- E poi diceva.- Lei ha detto che il marito è andato nel bosco a raccogliere legna quindi adesso lui tornerà».
    E si sentiva abbastanza sicuro di prenderci.
    E allora io per prima cosa ho pregato quella signora di mandare qualcuno ad Ardesio per avvertire mio marito: «Per l’amor di Dio di non venire su. Di non tornare a Gromo perché era ricercato»


    Attestato di nascita di Liliana


    Infatti lei ha mandato un suo figlio ed io gli ho detto di cercarlo e dal calzolaio Giudici e dalla signora Zucchelli e dalla signora Filisetti. Infatti quel ragazzo aveva trovato papà che poi si era riparato presso dei contadini che erano sulla strada fuori dal paese di Ardesio.
    Quel ragazzo è tornato spiegandomi dove papà ci stava aspettando e io volevo scendere, andare a trovarlo per riunirmi a lui. Avremmo dovuto percorrere lo stradone che portava da Gromo ad Ardesio, ma naturalmente avevamo paura. Poi avevamo anche sentito che il maresciallo era in piazza che stava aspettando l’arrivo della corriera pensando che papà fosse stato ad Ardesio e che stesse tornando con questa. C’erano in giro altri carabinieri e quindi non potevamo fare quella strada. L’Amelia ci suggerì che poteva preparare un carro con il fieno e noi potevamo nasconderci sotto di questo e lei avrebbe condotto il carro fino ad Ardesio, ma sua madre la sconsigliò perché i tedeschi ed anche i fascisti qualche volta passavano e se vedevano un carro con del fieno provavano con le baionette se c’era qualcuno. Quindi c’era una possibilità sola, di attraversare il monte e andare “via montagna” da Gromo ad Ardesio. Anche questa possibilità mi veniva sconsigliata da tutti perché era un sentiero molto, molto ripido; veniva chiamato i scalecc - scalini - e poco tempo prima una signora era passata di lì, era scivolata e cadendo si era ammazzata.
    Era il primo dicembre ed era caduta un po’ d’acqua, un po’ di neve per cui c’era scivoloso e quella strada non era proprio consigliabile. D’altra parte non c’erano altre possibilità e allora è venuto un ragazzo, che allora avrà avuto tredici o quattordici anni, si chiamava Battista ed era figlio di un’altra signora che aveva la casa colonica vicino a quella dove eravamo noi in quel momento.
    Quella signora, Bigia mi pare, era la sorella o la cognata di quella dove ci trovavamo noi e suo figlio diceva: «Io accompagno quelle donne e il ragazzo, li accompagno io ad Ardesio». La madre e la sorella in un primo momento non volevano, avevano paura, ma il ragazzo si sentiva sicuro e infatti siamo andati e lui ci ha guidato, ci ha fatto attraversare questa montagna e siamo scesi dalla parte di fronte ad Ardesio e in una stalla ci siamo incontrati con papà ed eravamo riuniti per il momento. Là abbiamo passato la prima notte, ma i proprietari, i contadini, avevano paura perché quella stalla e la loro casa erano proprio sullo stradone, ci passavano i soldati tedeschi eccetera e avevano giustamente paura. Allora siamo saliti per un sentiero vicino alla strada che portava a Valcanale. Nelle vicinanze c’era un sentiero che portava su, c’era una boscaglia e in mezzo a quella pineta c’era una vecchia casa e una stalla, tutto molto malandato, diroccato, e là abitava una vecchia signora con un figlio e una figlia. Nella stalla oramai non tenevano bestie, ma c’era della paglia e là potevamo dormire e là ci hanno lasciato stare. Siamo stati là qualche giorno e un giorno papà è sceso ad Ardesio perché si avvicinava il periodo in cui avrei dovuto partorire. Allora lui alla sera tardi è andato ad Ardesio in casa dell’ostetrica, non la conoscevamo e il papà spiegò la situazione e tutto e le chiese se in caso di bisogno lei era disposta a venire ad assistermi. Lei ha detto subito che sarebbe sì venuta, però il suo dovere era di denunciare il parto al municipio e ciò naturalmente non doveva succedere perché le autorità non dovevano sapere della nostra presenza [in quei posti]. Comunque ha detto che quando fosse venuto il momento di chiamarla pure e poi avrebbe deciso al momento cosa fare. Infatti ho avuto le doglie al due gennaio del 1944. C’era buio quando papà è andato a chiamare l’ostetrica. Liliana è nata la sera alle dieci.
    L’ostetrica ha fatto tutto ciò che era necessario poi ha detto: «Io me ne vado. Io non posso, non voglio denunciarvi. Non faccio nessuna denuncia però non posso purtroppo più farmi vedere qui, Spero che tutto andrà bene, ma non posso più farmi vedere qui da voi».
    E così è stato. Io per quattro o cinque giorni sono stata bene e la bambina stava bene, ma ecco, dove avevo partorito era praticamente una stalla e si può immaginare l’igiene di quel luogo, ma non c’era stata altra possibilità. Quando la bambina aveva dieci giorni circa, la signora con i suoi figli, cioè i proprietari del posto dove abitavamo, cominciarono ad avere paura. Si vede che nel paese parlavano di rappresaglie, si parlava di ebrei e di tedeschi eccetera e loro avevano paura e ci hanno fatto capire che sarebbe stato meglio che ce ne andassimo. In un primo tempo siamo andati su dalla stessa parte dove eravamo già stati, dopo Valcanale c’era una frazione, Bani di Ardesio, e siamo andati lassù, ma non ricordo per quale motivo non ci siamo fermati là. Forse non avevamo trovato delle stanze in quel luogo. Allora siamo scesi ed abbiamo deciso di andare dall’altra parte dello stradone. Quindi abbiamo attraversato lo stradone alla mattina molto, molto presto quando tutti ancora dormivano. La mamma, il papà, io con Liliana e tu siamo andati in una frazione sopra Ardesio. C’erano due o tre case e questa frazione si chiamava Botto Basso. Una signora ci ha dato in affitto una camera e dormivamo là.
    E un giorno è venuto un uomo di Gromo, era il suocero del figlio della padrona della casa dove avevamo abitato per cui lo conoscevamo ed avevamo fiducia in lui, lui vendeva del sapone di contrabbando e passava di là per vendere il sapone. Allora papà che pensava sempre a lavorare, a fare affari, eccetera, ha parlato con questo, si chiamava il Trifola, e gli ha fatto la proposta di dargli in conto vendita dei tessuti, quelli che noi avevamo ricevuto dalle signore di Ardesio, e, poiché lui aveva la possibilità di girare, poteva vendere più facilmente e così avrebbe guadagnato lui e anche noi qualche cosa. Lui ha preso questa merce e se ne è andato.
    Dopo è andato verso Gromo e due giorni dopo, sullo stradone, è stato fermato dai carabinieri e gli hanno guardato nello zaino trovando tessuti e stoffe e quando gli hanno chiesto da dove venivano quei tessuti e stoffe, lui ha risposto: «Me li ha dati l’ebreo di Botto Basso». E allora l’hanno portato alla caserma di Gromo e il maresciallo ha detto: «Bene. Una volta gli ebrei mi sono scappati. Adesso non me li lascio più scappare, però tengo qua anche te e domani mattina andiamo a prendere questi ebrei e tu ci fai vedere dove sono, però intanto stai qui in caserma». Allora questo Trifola si è messo a urlare e sbraitare: «Io devo stare chiuso qua, io, per colpa di quegli ebrei, come mai e perché? Eh, no...».
    C’era a Gromo una signora molto anziana che andava nella caserma, faceva là le pulizie, preparava da mangiare per loro e lei, mentre lavorava là, ha sentito gridare quel Trifola e ha capito cosa stava succedendo.
    Allora ha chiamato un suo nipotino e gli ha detto: «Tu vai di corsa ad Ardesio. Vai dal calzolaio Giudici, che era conosciuto da tutti come grande antifascista, vai da Giudici e dì’ cosa è successo, che domani mattina vogliono prendere gli ebrei. Di avvertirli di scappare». Questo ragazzino è andato dal Giudici che ha detto: «Guarda, dì’ alla tua nonna che io non conosco nessun ebreo, non li conosco. Non so dove stanno. Va bene. Comunque grazie per il messaggio e basta».6
    Appena il ragazzo è andato, lui è venuto su a Botto Basso a dirci: «Guardate: succede così e così. Voi dovete scappare».
    Noi non sapevamo dove andare perché non potevamo certo allontanarci molto, eravamo in marzo, Liliana avrà avuto circa tre mesi.
    6Le notizie di questi fatti sono state date ad Alice Redlich molto tempo dopo dallo stesso calzolaio Giudici di Ardesio.

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    A cura della Associazione Italia Israele di Bergamo [indietro][avanti]


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