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Alice racconta: una famiglia ebrea in fuga dai nazifascisti da Vienna a Bergamo [indietro][avanti]
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  • In fuga dopo l'8 settembre

    Noi, dopo l’otto settembre cominciavamo ad avere una gran paura sapendo che i tedeschi avanzavano e venivano anche nella vallata e si facevano vedere. E allora decidemmo di scappare e di nasconderci e un giorno siamo scappati in una, neanche frazione erano due case sopra Ardesio, ma in cima, in cima a un monte e queste due case si chiamavano Botto Alto. Botto Alto era un posto pieno di mosche, sporco e stavamo molto male. Io ero in attesa di Liliana e un giorno decidemmo di scendere di notte a Gromo per portarci su un po’ di roba, qualche vestito e qualche cosa. Infatti siamo scesi e arrivati. La nostra padrona di casa ci vide e per farci del bene, avvisò il maresciallo dei carabinieri che venne.
    Noi naturalmente eravamo molto spaventati e lui disse: «Ma perché vi nascondete lassù, poi lei,- [rivolto] a me - in questo stato. Venite giù, non c’è nessun motivo di avere paura». E io dicevo: «Non ho paura degli italiani, ho paura dei tedeschi».
    E lui diceva: «Vi do la mia parola qua davanti a dei testimoni.- c’era la padrona di casa, una signora vecchia con le sue figlie - Vi do la mia parola che se ci sarà qualcosa in giro, io vi avvertirò in tempo».



    Documento di Leiser Schwamwental


    Dopo questo fatto siamo scesi da Botto Alto dove si stava veramente molto, molto male e ci siamo fermati ancora a Gromo. Però gli ultimi giorni di novembre si sentiva già che i tedeschi si stavano avvicinando. Avevamo sentito che una famiglia di ebrei che abitava ad Albino era scappata e decidemmo anche noi di scappare. E tu, Riccardo, frequentavi allora la prima classe elementare. Quel mattino, era il primo dicembre del quarantatré, papà era andato giù a Ardesio perché aveva incassato un po’ di soldi e voleva consegnarli a quelle signore Filisetti e Zucchelli, tu eri a scuola, io stavo andando con la mamma in paese e avevamo deciso di andare al pomeriggio, insieme a papà, su dalle parti di Valgoglio per nasconderci là. Mentre andavo verso il paese mi viene incontro il maresciallo con l’appuntato e mi domanda: «Dove va?».
    «Vado in paese a fare le spese».
    E mi dice: «Dov’è suo marito?».
    Io ho risposto: «Mio marito è andato nel bosco per raccogliere un po’ di legna». «E dove sono quei due vecchi?» [si riferiva a quelli] che abitavano nella stessa casa dove stavamo noi.4
    «Ah,- dico - non lo so».
    «Ah,- dice - lei deve tornare».
    «Perché,- dico - devo tornare?».
    «Beh, lei deve tornare adesso a casa e poi questo pomeriggio lei deve, c’è arrivato un ordine, e lei verrà portata a Bergamo».
    E io: «Va bene, allora vado a prendere il bambino a scuola».
    Lui mi dice: «Ma no, non si disturbi. Mando l’appuntato a prenderlo».
    E io ho detto: «No, il bambino si spaventerà se va là un carabiniere a prenderlo. Vado io».
    E allora dice: «Va bene. Vada. Tanto la faccio accompagnare».
    E così siamo venuti la mamma e io a prenderti a scuola.
    Quando sono entrata ho detto alla maestra, una signora vecchia di cui non ricordo il nome, di che cosa si trattava e a lei sono venute le lacrime agli occhi e ha detto: «Io sono fascista, ma queste cose sono molto brutte. Queste cose non mi piacciono, non si dovrebbero fare». Ti ha salutato e ci siamo avviati verso casa.
    Passando davanti al fornaio io sono entrata e ho detto: «Voglio prendere un po’ di pane». Il carabiniere ci seguiva dappertutto. Sono entrata dal fornaio ed ho chiesto il pane e la signora, si chiamava Sara, mi guardava ed aveva capito cosa era successo e le venivano le lacrime anche a lei, piangeva, mi dava più pane di quello che doveva darmi.
    E poi noi siamo usciti e ho detto al carabiniere: «Ma senta. La gente crede che magari abbiamo rubato una gallina, perché sta con noi?».
    E lui dice: «Ma non si preoccupi, sto un po’ indietro».
    Però ci seguiva, non ci lasciava.
    Allora ho detto alla mamma: «Guarda che noi scapperemo».
    «Ma no, ma sei matta».
    «No, no. Dobbiamo scappare. Qualche cosa dobbiamo fare».
    E allora siamo tornati a casa e in casa c’era ancora là il maresciallo che andava su da quei due vecchietti e diceva: «Oggi pomeriggio vi porto, dovete venire, a Bergamo con me».
    Loro erano molto religiosi e già il venerdì sera si cominciava a festeggiare il sabato ed era venerdì.
    E loro dicevano: «No. Noi il venerdì sera non ci mettiamo in viaggio, non possiamo».
    E allora il maresciallo si mise a gridare e gridava anche verso di me dicendo: «Avevate tutto il tempo per scappare, ma adesso io tengo gli occhi bene aperti. Adesso non provateci neanche, perché ci andrò di mezzo io».
    E guardava me e io dicevo: «Ma no. Chi ci pensa a scappare. Io proprio non ci penso».
    E allora siamo scesi nella cucina della padrona di casa ed era un’intuizione la mia perché tra la cucina della padrona e la mia cucina c’era un piccolo corridoio, di là si scendeva in cantina, che aveva poi un’uscita e vicino alla mia cucina c’erano le due stanze dove dormivamo.
    E prima la padrona di casa piangeva, diceva al maresciallo: «Ma senta. Vuol portare via questa donna in questo stato?».
    Riferendosi a me che era proprio un mese prima del parto.
    E lui diceva: «Ma perché si preoccupa? Loro vengono... voglio radunare tutti gli ebrei. Li portano in Alto Adige. Poi verranno messi in alberghi e abiteranno là e la signora verrà portata in una clinica, in un posto di cura. Lei non deve preoccuparsi».
    E questa povera vecchietta ci credeva. Poi il maresciallo è andato via, ma l’appuntato è rimasto là. Io mi sono seduta vicino all’appuntato e chiacchieravo come se non ci fosse niente.
    E dopo un po’ ho detto: «Adesso vado a preparare le valigie, la roba che mi porto via».
    Sono andata nella mia cucina lasciandone aperta la porta e [lasciando aperta anche] la porta della cucina della padrona di casa di modo che il carabiniere potesse osservarmi di continuo. Nella mia stanza dissi a mia mamma: «Adesso scappiamo».
    C’era là anche la figlia della padrona di casa e diceva: «Ma no, ma lei è matta. Ma non ha sentito che cosa ha detto il maresciallo?».
    Io ho detto: «Lo lasci parlare, dica quello che vuole. Io voglio scappare e lei, dico - Angelina, se ne vada perché non vorrei che lei fosse, se noi scappiamo, che fosse coinvolta».
    Infatti lei se ne è andata. Ci siamo vestiti, abbiamo indossato [il più possibile di] quello che potevamo metterci. Prima io continuavo ad andare avanti e indietro nella cucina, nella mia stanza. Andare avanti e indietro, avanti e indietro sempre con qualche indumento in mano e vedevo che il carabiniere mi guardava una volta, due volte, tre volte, poi vedeva che facevo sempre le stesse cose, preparavo eccetera... A un certo momento lui non mi guardava più e allora ho preso per mano te e la mamma e giù per la scala della cantina e fuori, siamo andati fuori. Correvamo verso il [fiume] Serio e volevamo attraversarlo e dicevo di andare su a Boario. Ma poi ho cambiato idea perché la strada di Boario era una mulattiera, era tutta allo scoperto, non c’erano alberi, non c’era niente, quindi si vedeva un cane che andava su da Gromo a Boario, si poteva distinguere. Allora ho cambiato idea. Abbiamo attraversato due volte il Serio avanti e indietro, ci eravamo bagnati tutti.

    La nonna quanti anni aveva allora?
    La nonna aveva settantacinque anni5, se mi ricordo bene, comunque aveva una forma di artrosi nella gamba, già da giovane era stata operata a una gamba e camminava molto male. E così noi siamo scesi per un pezzo lungo il Serio, poi c’era [ancora] da attraversare. Io volevo attraversare lo stradone [la strada provinciale] e portarmi dall’altra parte della strada dove c’erano due case di contadini, per ripararci là, ma queste case erano poco distanti dalla casa dove abitavamo noi, neanche un chilometro.
    Allora, vicino al Serio c’era un piccolo bosco e noi l’abbiamo attraversato, ho guardato a destra e sinistra e ho detto: «Adesso, di corsa. Attraversiamo».
    Anche dall’altra parte c’erano un po’ di cespugli di nocciole e abbiamo attraversato là e mentre stavamo attraversando di corsa c’era qualcuno nelle vicinanze [che stava custodendo delle bestie] e faceva schioccare la frusta e la mamma gridava: «Ci sparano, ci sparano».
    «No, - dico - non ci sparano, corri» e siamo riparati nella prima casa che era una casa di contadini.

    4 Si trattava di anziani coniugi di origine polacca, Kris Markus e la moglie, i quali - ricorda Alice Redlich - vennero portati a Bergamo e rinchiusi nel carcere di Sant’Agata, poi rilasciati e quindi ripresi. Dopo un altro periodo di detenzione a Sant’Agata, vennero tradotti a Fossoli. Di essi Alice Redlich non ebbe più notizia.
    5È evidentemente un errore, infatti Ilona Ungar, nata nel 1885 a Budapest e morta a Bergamo nel 1954, doveva avere allora, nel 1944, cinquantanove anni.

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    A cura della Associazione Italia Israele di Bergamo [indietro][avanti]


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