Un ricordo particolare va ad una donna, Lydia Gelmi Cattaneo, che è la prima bergamasca ad ottenere il riconoscimento di “Giusto fra le nazioni” nel 1974.
La sua casa in Ponte San Pietro è una delle “stazioni”
della via verso la salvezza, come racconta il figlio Angiolello Cattaneo a Paolo Aresi, giornalista dell'Eco
di Bergamo:
«Prima non erano ebrei, erano solamente amici che mia madre aveva conosciuto
durante i suoi viaggi in Germania, Ungheria, Cecoslovacchia.
Poi nel 1938
arrivarono anche in Italia le leggi razziali e gli amici diventarono improvvisamente
"ebrei". Mia madre cominciò a darsi da fare dopo lo scoppio della guerra
e in particolare dopo l'8 settembre 1943. Non so quanti ebrei abbia salvato
mia madre, soltanto so che furono più di cinquanta».
Nel 1974 a Lydia Gelmi Cattaneo lo stato di Israele
attribuì il suo massimo riconoscimento, la inserì fra i "Giusti tra le
nazioni"...«Quel giorno a Gerusalemme c'ero
anch'io, fu una giornata indimenticabile. Alla cerimonia parteciparono
anche Nixon e Kissinger. Mia madre era un tipo particolare, vivacissimo.
Fece subito amicizia con tutti. Ricordo Nixon che scherzava con lei, la
chiamava per nome».
Lydia Gelmi Cattaneo ( fonte: archivio di "L'Eco di Bergamo")
Lydia era nata a Presezzo
nella famiglia Gelmi, quando sposò Camillo Cattaneo giovane veterinario,
andò a vivere a Ponte San Pietro. Classe 1903, era davvero una donna particolare.
Nel 1932 era fra le poche bergamasche ad avere la patente di guida; la
passione per la cultura e l'archeologia la portò in angoli remoti del mondo
ancora prima della seconda guerra mondiale. Ricordava Lydia Cattaneo di
quella volta che in treno scese nel profondo Sudan: «Ero l'unica donna
sul treno». Erano altri tempi. Lydia faceva la miniaturista. Era apprezzata
in tutto il mondo: consegnò personalmente il ritratto in miniatura allo
scià di Persia. Dice il figlio Angiolello in questo pomeriggio piovoso
di gennaio: «Mia madre non stava mai ferma. Voleva vedere, conoscere. Le
famiglie ebree le conobbe durante i viaggi. I Weiss, per esempio, li aveva
conosciuti a Budapest alla fine degli Anni Venti. Poi arrivarono le persecuzioni,
la guerra. Mia madre si disse che doveva darsi da fare per salvare quegli
amici. E mio padre parlava poco, ma era d'accordo, ricordava i sacrifici
dei suoi compagni ufficiali ebrei durante la prima guerra mondiale. A Bagnocavallo,
in Romagna, c'era qualcosa, forse una famiglia, comunque un punto di riferimento
per gli ebrei d'Europa che volevano salvarsi. Mia madre si mise in contatto
con Bagnocavallo attraverso i suoi amici e cominciò ad aiutare anche persone
che non conosceva». In quei giorni, Lydia Cattaneo era una donna di quarant'anni
dal sorriso ampio, aperto. Non si accontentava di aiutare qualcuno: ogni
volta che c'era bisogno, partiva. Procurava documenti falsi, ospitava ebrei
nella villa di Ponte San Pietro. Li accompagnava verso la Svizzera perché
era la Svizzera la vera salvezza. Angiolello Cattaneo spiega che gli svizzeri
avevano organizzato dei campi profughi efficientissimi dove venivano ospitati
migliaia e migliaia di fuggitivi, ebrei, oppositori dei regimi nazifascisti.
«Nel 1943 avrei dovuto partire anch'io militare, dovevo entrare nell'esercito
repubblichino, ma non ne avevo alcuna intenzione, così fuggii anch'io,
raggiunsi la Svizzera e venni ospitato in un campo. Dormivamo in baracche
di legno, ogni baracca era dotata di una buona stufa, nella mensa il cibo
non mancava mai. L'unico problema era la noia perché non c'era mai molto
da fare. Ricordo che andavamo a spaccare la legna». Lydia Cattaneo aveva
una piccola rete di amici. «Mia madre conosceva alcuni sindaci dei paesi
attorno e della Valle Imagna. Ai sindaci spiegava certe situazioni, chiedeva
aiuto. Otteneva carte d'identità false. Con i documenti nella borsetta
saliva in treno, raggiungeva Bagnocavallo, incontrava gli ebrei e li portava
a Ponte San Pietro. Di norma stavano a casa nostra per pochi giorni».
I giorni necessari a stabilire i contatti con i contrabbandieri, con gli
«spalloni» che partivano da Tirano e lungo sentieri impervi raggiungevano
passi in quota che poi scendevano in Svizzera. «Gli spalloni - spiega Angiolello
Cattaneo - erano i contrabbandieri che trafficavano fra Valtellina ed Engadina.
Portavano sigarette, cioccolata, grappa, un po' di tutto. Con pochi soldi
accettavano il rischio di accompagnare gli ebrei. Partivano da Villa di
Tirano, salivano verso un passo che non era il Bernina... Non ricordo il
nome. E poi scendevano dalla Valle di Poschiavo, fino a Pontresina, vicino
a Saint Moritz e a Samedan. Lì a Samedan c'era il campo profughi. Gli svizzeri
furono davvero un popolo esemplare, furono davvero tanto bravi, dimostrarono
grande sensibilità e accoglienza. Ospitavano migliaia di profughi, gli
davano da mangiare, non chiedevano niente». Raccontano il figlio Angiolello
e la moglie Micaela che Lydia non conosceva la paura. «Sembrava che per
lei il pericolo non esistesse. Era totalmente fiduciosa in quello che faceva,
al limite dell'incoscienza. Aveva una volontà di ferro. E, in effetti,
in casa la paura vera la provammo soltanto una volta. Fu quando improvvisamente
bussò alla nostra porta un ufficiale tedesco. Avevamo in casa una ragazza
ebrea, si chiamava Irene, e presi alla sprovvista non sapevamo dove nasconderla.
Allora mia madre aprì una cassapanca che avevamo nel soggiorno e le disse
di infilarsi dentro. Aprimmo la porta. L'ufficiale tedesco entrò con una
borsetta in mano: era la borsetta che la nostra donna di servizio aveva
rubato alla ragazza ebrea! Conteneva documenti falsi. Sudammo tutti freddo.
L'ufficiale non sapeva a chi appartenesse la borsetta, ma era venuto da
noi perché sapeva che la ladra prestava servizio qui... Ricordo che mia
madre restò calma e parlando con l'ufficiale andò a sedersi precisamente
sopra la cassapanca. Che momento quello. Per fortuna la nostra donna di
servizio fece la ladra, ma non fece la spia e il tedesco se ne andò».
Irene oggi è ancora viva. Ha 75 anni, abita a New
York ed è proprietaria di una grande gioielleria. «Ci sentiamo ancora»
dice Angiolello Cattaneo che da un armadio estrae la cornice con la pergamena
dei Giusti. Era il 27 giugno quando Lydia venne premiata a Gerusalemme.
Lungo il viale dei Giusti venne piantato un piccolo carrubo che oggi è
ormai un grande albero. Spiega la nipote Simonetta: «La ricordo benissimo
mia nonna perché è morta nel 1994, aveva 91 anni. Ha avuto una vita lunga
e intensa, era animata da un'energia incredibile, guardava sempre avanti».
Soltanto una volta andò male. Era stata «adottata» da Lydia Cattaneo una
famiglia di ebrei cugini dei Weiss. Racconta Angiolello: «Vollero fare
di testa loro. Mia madre li voleva accompagnare a Tirano e poi farli passare
nel solito modo. Ma loro avevano figli piccoli, non se la sentivano di
fare ore e ore di sentiero. Si affidarono a persone che avevano conosciuto
loro. Mia madre non li conosceva. Queste persone anziché in Svizzera li
portarono dritti nella caserma delle Ss. Vennero deportati. Non tornò nessuno.
Sì, c'era anche gente del genere, c'erano anche italiani che facevano queste
cose».1
1 L'Eco di Bergamo, 27 gennaio 2002
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